Il racconto di un viaggio spirituale e culturale scritto da Fabrizio Scarinci

Nameste…ecco l’India che ho conosciuto con i miei fantastici compagni di viaggio: Ale (mamma Ale), Vale (topi), Ema (toni), Carlotta (amora) e Sofia (amora). Partenza da Roma il 19 febbraio 2015 e ritorno il 7 marzo.

Delhi, ci dà il suo benvenuto. Caos di macchine e persone, smog e inquinamento acustico e un po di caldo. Poi mercati, mercatini e botteghe, tanta povertà e sorrisi; chiunque vende qualcosa e il disordine regna sovrano. Questo è il primo impatto per chi arriva in India, New Delhi. Il quartiere del parlamento e delle case dei ministri, immerso nel verde. Il memoriale in marmo nero per Mahatma Gandhi, meta di pellegrinaggio tutto l’anno; la più grande moschea dell’India, Jama Mosque; un tempio a forma di fiore di loto. Primo assaggio di questo nuovo mondo. Da qui iniziamo il nostro viaggio a bordo di un pulmino guidato da un indiano sik: Balkhar.
Agra, il Taj Mahal tra il rosa e il blu, al tramonto e all’alba, vale tutto il viaggio. Indossare il sahri per la visita, rende tutto più magico; così hanno fatto le ragazze. Non potevamo immaginare che avrebbero ricevuto così tante richieste di posare per foto con gli stessi indiani.
Fatephur Sikri, antica città costruita con pietra arenaria rossa; è un forte imponente arroccato su una collina.
Ranthambore, safari in piena savana indiana alla ricerca dell’incontro con una delle 58 tigri del Bengala; non le abbiamo incontrate, purtroppo o menomale, ma abbiamo visto cerbiatti, daini, antilopi, gazzelle indiane, scimmie, scoiattoli.
Jaipur, la città rosa. I suoi palazzi rosa, il palazzo del marajah, l’osservatorio del 1600. E poi la salita con gli elefanti all’Amer Fort. Città della lavorazione dell’oro e del cachemire.
Pushkar, cittadina costruita intorno ad un piccolo lago, ci avvolge nei misteri dell’induismo: templi per gli dei Brahma, Vishnu, Schiva, Ganesh; colori, santoni, odori, fiori e qualche fricchettone occidentale che se sparava ‘na canna; scuole di yoga e di danza bollivood.
Jodhpur, la città blu, immensa oasi nel Thar Desert. Il Jaswant Thada, memoriale di cinque marajah; a fianco il luogo della pira e un piccolo lago per purificarsi spiritualmente dopo la cerimonia della cremazione.
All’esterno un suonatore di rava attar, strumento del diavolo. Nel Mehrangarh museum, fortezza maestosa, balconcini e finestre in pietra arenaria rossa; all’interno sfarzo di decori, selle da elefanti, portantine per il marajah e la famiglia e culle per i suoi figli. Bell’esempio di architettura indù-musulmana. Dall’alto le case con le pareti blu colorano la città. Non piove mai, tranne oggi (1 marzo 2015); pioggia a dirotto e chicchi di grandine di alcuni centimetri di diametro; tutto si è consumato in venti minuti creando rivoli d’acqua e pozzanghere e lasciando la città nel fango. Poi la vita è ripresa come sempre. Un tuc-tuc ci accompagna in albergo un po’ slittando e un po’ schizzando.
Dopo 10 giorni di pollo e verdure con le spezie indiane, un Mac Donald non ce lo toglie nessuno: ach…. e già. Soltanto hamburger di pollo o verdure.
Ranakpur, tra le montagne un tempio unico con 1444 colonne in marmo. Autentica architettura indù.
Udaipur, la città bianca o dei laghi…artificiali, ma molto suggestivi: dall’alba al tramonto. Un ristorante fantastico sul lago Pichola di fronte il palazzo reale con una illuminazione romantica; visto dall’alto sembra il Titanic. Architettura indù e musulmana (mogul) insieme: cupole, finestre grandi, quelle piccole in pietra arenaria traforate a mano per le donne del marajah; mosaici di pietre preziose e specchi, corridoi stretti e bassi e vista mozzafiato. Una rapida visita ad un giardino in città con fontane e piscine; una grandissima con fiori di loto.
La gita in barca sul lago: alberghi fronte lago bellissimi.
Scendiamo su un’isoletta al centro del lago. Un caffè espresso “vero” con una sigaretta guardando il paesaggio intorno e attendendo il tramonto; altro ristorante di charme sotto il palazzo reale.
La mattina passeggiamo nel mercato locale. Colori, voci, odori, ogni genere di mercanzia: vestiti, stoffe, frutta, verdure, spezie, fiori, qualunque oggetto per la casa e per la cucina. Finalmente non dobbiamo chiedere lo sconto; i prezzi sono talmente bassi.
Voliamo a Delhi, il tempo per una cena italiana (finalmente senza spezie) e la mattina alla volta di Varanasi.
Varanasi, risale a 6 mila anni fa. Il sanscrito e la religione indù. Due validi motivi per ritenerla la città più importante del mondo. Pensavamo che Delhi fosse caotica, ma non conoscevano ancora Varanasi.
Mentre la città si prepara alla holy fest (simile al nostro carnevale) con una miriade di bancarelle che vendono colori in polvere, da utilizzare per il viso e da tirare, pistole ad acqua e maschere, prendiamo posto su un balcone proprio sul Gatt principale a pochi metri dalla riva del fiume in attesa del tramonto. Sette sacerdoti buddisti officiano la cerimonia del ringraziamento della madre Ganga (il Gange). È un tripudio di suoni di campanelle, di odore di incenso, di canti buddisti, di fiori e di mille colori. Tutti desiderosi di raggiungere il charma prima della morte, per non dover più reincarnarsi.
La mattina all’alba, poco prima delle sei, siamo di nuovo lì per la cerimonia della purificazione. Sono soltanto grandi e vecchi a svolgere questo rito immergendosi nel Gange. Sono tanti. In mezzo a loro due immancabili ragazzi giapponesi provano il rito in costume da bagno. Con una piccola imbarcazione raggiungiamo la zona dei crematori. Oltre l’edificio, due pire quasi spente; intorno alcune persone, i parenti del morto. Il ritorno ci regala una Varanasi ancora sopita; migliaia di pellegrini adagiati ai bordi delle strade, piano piano si risvegliano.

Insomma un viaggio fantastico come i miei compagni di avventura.
L’India, il Rajasthan, ci ha regalato una faccia diversa e sconosciuta del mondo. Vi convivono senza violenza e con reciproca accoglienza caste diverse; poveri e ricchi; i tanti quartieri dormitori come favelas ed altri, pochi per la verità, immersi nel verde; tutte le religioni tra loro mischiate e integrate da secoli. Chiunque può, lavora o vende ogni genere di cosa; sporcizia ovunque. Tutti che ci guardano e additano come fossimo esploratori; molti ci avvicinano e uomini e donne timidamente chiedono alle nostre ragazze di posare con loro per una foto. Approfittiamo anche noi per regalarci una foto con loro.

Dhanvad e nameste.

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